Desideri e città in sospensione
Ogni desiderio ha due facce. La prima e più importante è quella invisibile. Essa sfugge di norma alla coscienza privata e diventa conoscibile grazie a un tremendo lavoro su di sé, rivelando a volte che il vero oggetto della pulsione consiste in ben altro da ciò che si immaginava. L’altra faccia è invece quella visibile, che un osservatore esterno può riuscire a intravedere. Se la sua percezione è allenata, infatti, egli può riconoscere da alcuni segni del corpo, del movimento, della voce, e così via, cosa gli altri desiderano e quali sarebbero gli oggetti o le persone da loro desiderati. Un esperto professore di desiderio potrebbe addirittura spingersi oltre e arrivare a “vedere l’invisibile”: il fondo nascosto che sfugge alla coscienza privata.
Prendiamo un unico esempio, ossia quello dell’uomo che desidera il potere. Nella sua figura e nei suoi gesti, nelle sue parole e nelle persone di cui si circonda, l’osservatore allenato riconosce i segni dell’ambizione, che magari l’ambizioso cerca di occultare per impedire agli altri di ostacolare la sua ricerca della potenza. L’osservatore esperto può invece squarciare il velo dei segni e giungere a una conclusione sconvolgente. Quest’uomo desidera il potere come un tramite per un obiettivo che non riesce a confessare nemmeno a se stesso, per esempio il difendersi dalla morte, dalla povertà, dalla solitudine, insomma il diventare immune a ogni ferita. Si bramerebbe la potenza assoluta, dunque, come mezzo per realizzare il desiderio dell’invulnerabilità.
Le città rappresentano dai tempi antichi alcuni tra i luoghi favoriti per associarsi e realizzare molti dei nostri desideri. Sarebbe però semplicistico sostenere che esse sono solo mezzi di soddisfazione. Le città sono, forse, concretizzazioni dei nostri desideri, o la faccia visibile di quello sciame di pulsioni invisibili che ci guidano e a volte non riusciamo/vogliamo riconoscere. Tribunali, sale concerto, bordelli, ospedali, teatri, università, parchi giochi, biblioteche, gelaterie, palestre, mercati, discoteche – sono solo alcuni tra i tasselli di quel mosaico-labirinto che è la città e che riflette, in grande, il piccolo ma intricato dedalo della nostra psiche.
Questa intuizione è stata soprattutto messa in luce dalla Repubblica di Platone, che nei libri IV-V e VIII 9 argomenta che ogni sistema politico (dunque, per estensione, ogni costituzione civica) è organizzato in modo da mettere in risalto certi desideri su altri e da favorire la crescita di un determinato temperamento umano. In tempi odierni, la concezione è stata approfondita da Le città invisibili di Calvino. Il romanzo dedica cinque sezioni al tema «Le città e il desiderio», descrivendo altrettante città che danno forma e consistenza diversa ai desideri dei loro abitanti. C’è Dorotea, in cui la priorità è calcolare la vita che soddisferà tutti i desideri passati, presenti, futuri; c’è Anastasia, dove i desideri si risvegliano tutti insieme e molti rimangono insoddisfatti, rendendo così schiavo l’abitante del piacere misto a frustrazione; c’è Despina, che accende la pulsione ad andare in posti lontani; c’è Fedora, una città che contiene altre città, ciascuna delle quali viene scelta dalle persone in base alla consonanza con i propri desideri; c’è infine Zobeide, che viene costruita ricreando nella veglia i luoghi e le strade che gli uomini aveva immaginato in sogno, mentre inseguivano una donna bella e nudo. Il punto comune a queste piccole narrazione è l’idea che desideri e città si alimentano reciprocamente, secondo un principio di crescita a intarsio. I desideri spingono alla fondazione di città in cui essi potranno essere soddisfatti, ma a loro volta le città creano le condizioni per accendere nuovi desideri.
Ora, quando un’epidemia fa la sua apparizione, la faccia visibile e quella invisibile vengono colpite, generando una sospensione della vita desiderante e cittadina insieme. La forza di molti desideri è ancora viva, ma non trova più mezzi e canali per la sua soddisfazione. Mentre i luoghi delle città, svuotati dei loro frequentatori e delle loro funzioni, perdono di attrazione e desiderabilità, come un uomo o una donna di cui non si è più innamorati, diventando così la caricatura di se stessi. Chi si avvicinasse alle porte di una sala da ballo, dove si sentivano sovrapporsi musica, risa e chiacchiere, non potrebbe a questo punto di dire: che fine ha fatto la gioia o la soddisfazione che prima era tanto viva? Le conversazione e i moti che sembravano preludere alla felicità futura ci hanno dunque ingannato, come i miei vecchi amori? Di conseguenza, anche il ponte tra il visibile e l’invisibile è all’improvviso distrutto. Senza la città in movimento, un osservatore allenato o esperto nel desiderio non ha più appigli per comprendere che cosa muove nel profondo l’umanità, sicché si arriva anche alla sospensione dell’attività della conoscenza.
Sarebbe interessante capire che cosa è questa “sospensione”, così come supporre cosa succede alle città di Dorotea, Anastasia, Despina, Fedora, Zobeide e a molte altre, quando sono colpite da un’epidemia. Ogni individuo reagisce diversamente, infatti, al tempo sospeso in cui i suoi desideri vengono congelati – alcuni adattandoli alla mutata condizione, altri scegliendo il suicidio per sfuggire alla nostalgia e alla depressione, altri ancora dedicandosi ai desideri prima più deboli o sconosciuti, quali il piacere della solitudine e della meditazione. A maggior ragione, ciò succederà alle città. Verrebbe da immaginare, per esempio, che Dorotea sfuggirebbe all’epidemia, perché avrebbe tenuto conto della previsione di questo accadimento nel calcolo dei desideri, o che Despina soffrirebbe più di Anastasia. L’una non potrebbe più raggiungere i posti lontani agognati, l’altra continuerebbe a godere della frustrazione dei suoi schiavi-cittadini. Non è possibile insomma fornire un “ricettario” completo e coerente. Forse è allora più promettente provare a capire cosa è la “sospensione” in generale e ipotizzare che cosa potenzialmente accade in ogni desiderio/città, colpito dal dramma di una pandemia.
C’è un altro bell’episodio de La città invisibili che potrebbe guidare a una potenziale soluzione. Nella variazione n. 4 del tema «Le città e il nome», Calvino racconta di come la cittadinanza di Clarice reagì a epidemia finita. I cittadini escono dalle fogne e dai sotterranei in cui si trovavano, per poi deputare i frammenti della vecchia città a nuove funzioni. Accade che le tende vengano adattate a lenzuola, che le urne cinerarie diventino terra fertile per far crescere il basilico, o che le griglie che chiudevano le finestre siano usate per cuocere la carne. In apparenza, ciò sembra implicare la scomparsa della città precedente e dei tre vecchi desideri a cui questi oggetti dovevano rispondere (= abbellire l’ambiente, onorare i morti, separare l’interno dall’esterno). Eppure, Calvino annota che «dell’antico splendore di Clarice non s’era perso quasi nulla, era tutto lì, disposto solamente in un ordine diverso ma appropriato alle esigenze degli abitanti non meno di prima». La città era insomma rimasta sostanzialmente integra, e così i suoi desideri,. E benché Calvino non lo dica esplicitamente, lo stesso principio si applica forse ad ogni città e ad ogni individuo. L’epidemia colpisce l’assetto presente, quello oggi visibile. Non attacca invece il brulichio invisibile dei desideri che muovono gli individui e danno luogo alla fondazione delle città. Esso né si crea, né si distrugge, semplicemente muta.
La parola “sospensione” che – secondo il senso comune – indicherebbe una stasi o peggio la morte di quanto c’era prima, è forse allora in realtà l’aspetto visibile di un’invisibile trasformazione di qualcosa di eterno. Le città e i desideri non muoiono, se è vero che le une mutano solo nell’assetto o nella disposizione delle parti, mentre gli altri cambiano solo traiettoria, canali e vivezza. Seppure potrebbe allora suonare paradossale, il ragionamento induce a concludere che l’epidemia non è nulla per noi. Ciò che crediamo stia morendo sta coltivando una vita silenziosa e discreta.
Nemmeno la passione della conoscenza allora si ferma. Un osservatore allenato o esperto deve solo modificare il suo sguardo, per cercare con pazienza quei segni visibili che portano a cogliere quella “vita silenziosa e discreta” dei desideri / delle città, entrambi pronti a sbocciare di nuovo al sole come il basilico dalle ceneri/ombre dei cari estinti.
[L'immagine usata è: Blue Poles, Number 11 (1952)]