Kollaps. Apocalisse o carnevale?
La compagnia Il Mulino di Amleto ha di recente messo in scena al Teatro Carignano di Torino, con la regia di Marco Lorenzi, il lavoro Kollaps del drammaturgo tedesco Philipp Löhle. Testo scritto nel 2015, esso mostra involontarie ma sinistre risonanze con le fragilità, le incertezze e le paure che sono emerse con evidenza durante l’emergenza Covid-19. Kollaps immagina, infatti, un’ipotetica fine del mondo, causata da una perdita temporanea della rete internet e della corrente elettrica a livello globale, che manda gli individui nel caos totale.
Più precisamente, Löhle si focalizza su tre campioni rappresentativi di tale umanità allo sbaraglio, a cui dedica i tre principali “quadri” del testo. Au revoir les enfants si concentra su Marco e Sophie Becker: coppia di sposi che, nel mezzo del disastro, decide di abbandonare i propri figli e le noie della genitorialità. In alto mostra Ronny Breuer, direttore di un’azienda di produzione di rubinetti, che si abbandona al suo desiderio inconfessato di regredire alla natura, ora tentando il suicidio (= di tornare alla terra), ora liberando gli animali dello zoo che si impossessano della città. Infine, il quadro In basso vede alternarsi i personaggi di Sven Seeger e Verena Schütz, che all’inizio della vicenda sono costretti ad accettare o ad aspirare a lavori umilianti pur di continuare a vivere, ma che durante la catastrofe lasciano le false ambizioni e si vendicano del sistema che li ha costretti a tali scelte. L’uno imbraccia un fucile, prova a rapinare una banca e deruba il suo ex-datore di lavoro della macchina, l’altra si abbandona all’apatia e guarda l’umanità dall’esterno, senza partecipare alla rivoluzione in corso.
La struttura di Kollaps così riassunta è sufficiente per sottolineare come Löhle pensi al teatro come un pretesto per costruire un esperimento cognitivo e drammatizzarne le conseguenze. Cosa succede all’umanità colpita da un disastro e cosa apprendiamo su di essa? Löhle deduce essenzialmente due cose. Da un lato, gli esseri umani sono incapaci di prevedere dove il presente sta andando e si accorgono solo a posteriori degli errori che stanno commettendo. Il crollo di internet e della corrente elettrica si rivela disastroso perché non si è saputo anticipare gli effetti a lungo termine dell’affidamento completo di ogni mansione (sociale, finanziaria, ecc.) alla tecnologia. Al pari del tacchino induttivista di Russell, che è ricordato dai coniugi Becker all’inizio del dramma e che sbaglia nel concludere di essere amato dal contadino che lo nutre, quando in realtà lo sta ingrassando per macellarlo nella festa del Ringraziamento, l’umanità ha fatto un grande errore di prospettiva. Ha pensato che i molti benefici immediati della tecnologia avrebbero portato sempre e solo al progresso, trascurando invece quei segnali che preannunciavano la catastrofe e diventano evidenti solo a disastro avvenuto.
Dall’altro lato, Löhle costruisce questo esperimento teatrale per sottolineare una speciale forma di uguaglianza tra esseri umani. Non importa che ci troviamo in alto o in basso nella scala sociale, che si sia il direttore di un’azienda o un disperato, che si sia genitori abbienti o figli che campano di espedienti, la catastrofe rivela che tutti siamo essenzialmente governati dai desideri e che essi prenderebbero il sopravvento, qualora la civiltà finisse. Il collasso mostra insomma che ciascuno di noi non ama divieti e regole, limiti e responsabilità, a meno di non esservi costretta da una società invasiva e più forte del desiderio.
Questi due punti centrali di Kollaps di Löhle sono restituiti fedelmente dalla messa in scena de Il Mulino di Amleto e dalla regia di Lorenzi. Da questo punto di vista, la compagnia opera una traduzione scenica fedele di un testo che viene eseguito alla lettera, a volte esplicitando i suoi contenuti politici. Lorenzi decide, ad esempio, di aprire lo spettacolo proiettando sullo sfondo una citazione da Eros e civiltà di Herbert Marcuse: «La civiltà si nutre della nostra repressione imponendo all’individuo sacrifici sempre maggiori». Con la citazione, si orienta così lo spettatore a concentrare da subito l’attenzione sulla dialettica di repressione e desiderio in cui si trovano avviluppati i personaggi di Kollaps.
C’è però un terzo elemento chela regia di Lorenzi enfatizza in modo originale ed era rimasto in forma embrionale nel testo di Löhle. Il drammaturgo tedesco si era limitato a mostrare che, con la catastrofe temporanea, l’essere umano perlopiù non apprende niente: non ad esercitare la sua capacità di previsione, non a costruire una società dove i desideri sono soddisfatti e non repressi. Ad eccezione di Breuer, che lascia l’azienda e va in giro per il mondo, infatti, tutti i personaggi tornano a condurre la vita di prima.I coniugi Becker recitano di nuovo il ruolo di genitori modello, Sven e Verena tornano a sottomettersi al sistema vessatorio di prima. Ora, Lorenzi e Il Mulino di Amleto partono da questa idea di Löhle per suggerire una visione del mondo ancora più estrema. Il collasso che sembrava un’apocalisse definitiva si è rivelato essere, a conti fatti, un gioco carnevalesco. Per un po’ di tempo, alto e basso erano stati aboliti, come appunto nel carnevale. I molteplici segni scenici che vengono usati per veicolare questa dimensione “ludica” includono l’uso di una recitazione volutamente esagerata degli attori, la presenza di numerose scene dal taglio comico e grottesco, o la scelta di rappresentare gli atti di violenza perpetrati dalla folla e dall’esercito in strada con giocattoli o soldatini di plastica. La vicenda di Kollaps è dunque una scena che non va presa troppo sul serio. Il collasso della civiltà che è qui raccontata è un breve carnevale che non porta a un nuovo ordine – e la rivoluzione seria che l’accompagna si manifesta come un trastullo da bambini.
Questa intelligente e originale scelta de Il Mulino di Amleto propone, in ultimo, un analogo dilemma per quel che riguarda la presente emergenza sanitaria. Essa è un’apocalisse da cui può nascere un ordine migliore, o un carnevale che tornerà presto alla triste normalità? La domanda rimane aperta, ma forse Kollaps invita a diventare più previdenti e meno contentabili, più aperti alla riscoperta delle sollecitazioni del desiderio.
[La scheda dello spettacolo Kollaps è visibile qui: http://www.ilmulinodiamleto.com/it/2020/06/26/kollaps/ . Per un'analisi della forma teatrale del lavoro, si rinvia alla recensione apparsa su Teatro e Critica ( https://www.teatroecritica.net/2020/08/si-gioca-alla-fine-del-mondo-kollaps-del-mulino-di-amleto/ ) e alla riflessione di Enrico Pastore ( https://www.enricopastore.com/2020/08/04/il-mulino-di-amleto-kollaps-di-phillip-lohle/ )]