Fracastoro e la sifilide, o la peste della bellezza

È al medico, filosofo e poeta Girolamo Fracastoro (1478-1553) che si deve il nome “sifilide” per indicare la malattia infettiva a prevalente trasmissione sessuale, che si manifesta mediante ulcere immonde ed eruzioni cutanee su tutto il corpo e colpì l'Europa per la prima volta intorno alla fine del '400. Il termine è ricavato, infatti, nel terzo e ultimo libro del poema Sifilide, o del morbo gallico (1530), dal nome del pastore Sifilo, che sarebbe stato punito con questo morbo da Apollo per aver osato sostenere che la divinità non si occupa degli esseri umani e che non ha senso venerare con sacrifici la natura divina. Fracastoro sarebbe tornato in seguito sull’argomento nel trattato Sui contagi, sui morbi contagiosi e sulla loro cura (1546), dove egli usa ormai il termine “sifilide” come quello canonico per indicare questa malattia.

Numerose sono le differenze che si potrebbero evidenziate tra le due opere – aldilà di quella ovvia che l’una è scritta in versi, l’altra in prosa. Una prima di un certo rilievo è che il Sui contagi del 1546 approfondisce l’eziologia della malattia. Se il poema Sifilide identifica le cause del male nei moti negli astri che determinano un’insalubrità dell’aria, il trattato più tardo propone che un’altra ragione risiede nei piccoli semi (seminaria) che sono rilasciati da alcuni microrganismi patogeni e si trasmettono per contatto con i malati. Una seconda differenza è che il Sui contagi mette in evidenza la trasmissione sessuale del contagio. Il punto non è invece esplicitato nei tre libri della Sifilide, se non nei rari riferimenti alle ulcere che colpiscono i genitali. Una terza differenza notevole è infine stilistica. Benché sia il poema Sifilide che il Sui contagi pongano i rimedi principali della malattia nell’astensione sessuale, negli unguenti a base di mercurio e nella pianta di guaiaco, solo il secondo trattato ne descrive la retta applicazione e il trattamento. Il poema compie qui al riguardo più spesso delle digressioni poetiche, per esempio raccontando l’origine mitica dei due medicinali.

Finora il confronto tra le due opere mostra che il Sui contagi ha pregi ben maggiori rispetto ai tre libri Sulla sifilide. Il trattato è più completo, preciso, acuto e non abbonda di digressioni poetiche che impediscono al lettore di seguire con facilità il ragionamento medico. C’è però una quarta differenza tra le due opere che stavolta mostra un pregio del poema Sifilide e dice qualcosa sul tema della reazione emotiva. Si tratta del concetto che un’epidemia distrugge la bellezza, generando nella mente dell’osservatore un senso di sgomento e orrore.

Fracastoro ritiene che il bello che viene devastato dalla pandemia è anzitutto quello naturale. I versi iniziali del libro I del poema insistono su come il rigoglio della natura sia piagato dalla malattia: «spesso l’aria è nociva agli alberi soli, / e corrompe il germe morbido e la bellezza dei fiori soavi». In secondo luogo, Fracastoro racconta la devastazione che la pandemia causa alla bellezza degli umani. L’autore ricorre a una pregevole digressione poetica, in cui si narra di un giovane bellissimo e desiderato dalle donne che viene letteralmente imbruttito dalla violenza della sifilide. La malattia prima prostra le forze del ragazzo, poi ne divora le carni e le ossa con le ulcere, infine colpisce i suoi occhi graziosi, togliendo loro ogni fascino di luce e di vita. Da ciò segue che una pandemia è un’esperienza che accomuna la natura e l’umanità nel male. Invece di essere un dramma solo per la nostra specie, essa è una tragedia universale. Fracastoro è talmente convinto della parità tra il regno vegetale e l’esistenza umana su questo versante da paragonare la perdita della bellezza del corpo di un giovane uomo all’avvizzimento di un ciliegio malato. Come tale pianta secerne dalle sue scorze un liquido maleodorante che si raggruma in una sostanza gommosa, così il giovane che è colpito dalla sifilide rilascia dalla sua pelle un umore mucoso che si indurisce in putridi calli.

Ora, la descrizione della morte della bellezza manca del tutto nel trattato Sui contagi. La ragione è palese. Descrivere la bellezza che muore ad opera della sifilide – o in generale di ogni malattia infettiva– non è un’osservazione scientifica o medica, perché non ci dice in che modo i corpi possono guarire, o quali siano le cause del male. D’altro canto, tale descrizione poetica sottolinea che la pandemia è da noi percepita come temibile perché è un cancro che cancella l’amore e il desiderio. Gli effetti sulla salute sono devastanti, e tuttavia è l’avvizzimento del volto di un bel giovane sifilitico a turbarci maggiormente. In generale, Fracastoro ci aiuta pertanto a cogliere che esiste una peste della bellezza, o che la vera tragedia di vivere in una pandemia globale è l’essere consegnati a un periodo senza grazia, senza le consolazioni della delicatezza di eros.


[L'immagine di copertina è Egon Schiele, La famiglia (1918)]