L’occhio giallo del marinaio. Epidemia e sguardo nelThe Rime of the Ancient Mariner

Nel saggio Yellow Fever and the Slave Trade: Coleridge’s “The Rime of the Ancient Mariner” («ELH», 65.3, 1998, pp. 675-700), Debbie Lee presenta un’ipotesi stimolante. La Ballata del Vecchio Marinaio di Samuel Taylor Coleridge interverrebbe nel dibattito che ebbe luogo tra Settecento e Ottocento sulla diffusione della pestilenza di febbre gialla, causata dal mercato degli schiavi importati dall’Africa. L’opera mirerebbe a rappresentare allegoricamente tale pericoloso contagio e a individuarne le cause morali, oltre che il relativo rimedio.
Vale la pena ripercorrere velocemente la trama del poema, così da stabilire in maniera più chiara il nesso con il pericolo pandemico. Un vecchio marinaio – capitano di una spedizione verso il Polo – uccide con la balestra un albatros che volava amichevolmente intorno al vascello e giocava con la ciurma assoldata. Dapprincipio indignati, gli uomini a poco a poco si convincono che il capitano ha compiuto una buona azione, constatando che la morte dell’uccello aveva in apparenza spazzato via la nebbia e la foschia in cui si trovavano finora immersi. Essi si rendono così complici della colpa del vecchio marinaio. A quel punto, il vento che aveva accompagnato il veicolo smette di soffiare, la nave si ferma e l’equipaggio è colpito da una malattia che provoca una violenta arsura. Inoltre, giunge una nave guidata da due sorelle: la Morte, che si prende la vita della ciurma, e Vita-In-Morte, che riesce a vincere a dadi l’esistenza del vecchio marinaio.
Quest’ultimo passa giorni a maledire il suo fato e il creato, fino a quando guarderà i movimenti di alcuni coloratissimi serpenti marini, li benedirà nel cuore e verrà liberato dalla maledizione, che aveva preso forma fisica in un dettaglio macabro. Il vecchio marinaio era stato costretto dalla ciurma a portare al collo il cadavere dell’albatros che aveva ucciso e che adesso cade con un tonfo sordo negli abissi del mare. Il resto del racconto di Coleridge è dedicato al ritorno del personaggio in patria e all’incontro con un eremita, che invece di assolverlo lo condannerà, con poche parole e il corrugamento della fronte, a raccontare periodicamente la sua storia infelice. Il lettore viene così a sapere che la fine del poema coincide col suo inizio. Il testo si apre con il vecchio marinaio che trova in un invitato a una festa nuziale la nuova persona a cui raccontare la sua storia, ascoltata la quale uscirà alla fine insieme «più triste e più saggio».
Ora, secondo l’esegesi di Lee, La Ballata del Vecchio Marinaio sarebbe il racconto del delitto, del castigo e della possibile redenzione dell’Inghilterra mercantessa di schiavi. La morte dell’albatros e il disprezzo verso le altre forme viventi rappresenterebbe il corrispettivo dello sfruttamento degli Africani schiavizzati. La malattia e la sete di cui soffrono l’equipaggio costituirebbe il simbolo nemmeno troppo velato della febbre gialla, come emerge dai frequenti richiami alla pelle marcia e nera dei marinai, alla loro gola riarsa, al biancore da «lebbroso» di Morte-In-Vita, e via dicendo. Infine, la redenzione consisterebbe nell’abolizione della schiavitù e nella stesura di racconti o discorsi che tengono le future generazioni lontane dall’empio sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Come ogni lettura unilaterale, l’esegesi di Lee gode di punti di forza e soffre di altri di debolezza. Quelli forti includono una corretta contestualizzazione storica e l’aver messo in evidenza il legame della trama con l’epidemia di febbre gialla, che sarebbe passato inosservato a un lettore distratto. Il punto debole decisivo è invece la cancellazione di ogni dimensione poetica-teologica da La Ballata del Vecchio Marinaio, che si estrinseca in due modi. Da un lato, troviamo la componente ritmica e musicale sia del testo che del racconto, dunque quella che non passa attraverso il significato e il discorso storico-critico. Si crea così un’intrigante contrapposizione: quella tra la gola rauca, arsa, incapace anche solo di sussurrare bestemmie dei marinai e le voci ora dolci, ora aggressive, ora solenni degli spiriti angelici o demoniaci, non riducibili a simboli di eventi umani.
Tale dimensione “concertistica” e la mistica della vocalità del poema di Coleridge è stata ben tradotta recentemente a livello scenico da Damiano Grasselli. L’artista non traduce infatti la storia in uno spettacolo dove i personaggi sono rappresentati da diversi attori, ma li evoca tutti da solo mutando il tono, il ritmo, l’andamento della sua voce. Grasselli mostra così che La Ballata del Vecchio Marinaio è forse un concerto di voci che non hanno più corpo, che sono divenute puro spirito immateriale. Solo il vecchio marinaio conserva una dimensione fisica, tanto da essere l’unico personaggio impersonato dall’artista. E la ragione è che la storia esiste perché è lui a raccontarla. Se questi non confessasse la sua colpa, l’invitato al matrimonio – o in generale il lettore / l’ascoltatore del poema – non potrebbe accedere a questo piano spirituale, cogliere l’esistere e l’operare delle entità angeliche/demoniache.
Dall’altro lato, accanto alla dimensione poetica-teologica che passa per l’elemento sonoro, si pone anche la componente soprannaturale che emerge sul piano visivo. Protagonista reale de La Ballata del Vecchio Marinaio non è infatti tanto il corpo del personaggio, quanto il suo occhio. Coleridge è del resto preciso nel sottolineare come quest’ultimo abbia una vista guizzante e fiammeggiante. Al suo interno, arde un fuoco giallo che trasforma la realtà e determina un differente corso degli eventi, inclusa la stessa epidemia di febbre. Se infatti all’inizio l’occhio del vecchio marinaio che ha ucciso l’albatros vede nel mare stesso un organismo putrido e malato, che si popola di serpenti marini che sguazzano minacciosi, o contempla il sole come una grande pupilla striata che osserva ogni cosa da dietro le sbarre di un carcere, esso a circa metà dell’opera riscontra invece negli animali la bellezza celestiale e nell’astro uno sguardo divino, benevolo e amorevole, ricevendo a quel punto sia il perdono, sia la salute. L’avvenimento principale del testo risiede in un mutamento dello sguardo, che coincide con una trasformazione delle passioni interiori del personaggio e con l’estinzione della pandemia. La realtà in sé muta come mutano le illusioni ottiche: questa viene creata infernale se il vecchio marinaio crede di attraversare l’inferno, mentre diventa celestiale se osserva tutto attraverso il pensiero che l’occhio di Dio si posa amorevolmente su ogni cosa.
L’epidemia di febbre gialla e la maledizione sono pertanto una manifestazione fisica dell’occhio giallo-infuocato del vecchio marinaio, e così il loro rovescio. Tuttavia, non tutta la realtà può essere modificata, né la pupilla umana ha lo stesso potere di quella divina. Benché riceva il perdono dopo aver riconosciuto la bellezza dei serpenti marini, il vecchio marinaio è ancora fissato con odio dai cadaveri della sua ex-ciurma e si guarda attorno come se da un momento all’altro dovesse essere punito da un demone vendicatore che gli è alle calcagna. La sua stessa epidemia di febbre gialla si muta in un nuovo e diverso morbo. La maledizione di raccontare periodicamente la sua storia a qualcuno può del resto essere interpretata come una malattia cronica, ossia che non può trovare una cura definitiva e con cui il paziente deve convivere per il resto della sua esistenza.
Si tratta però di un’epidemia stavolta in parte benigna, che porta come si è accennato porta con sé le passioni costruttive della saggezza e della tristezza. La bellezza che viene colta a metà del testo dal vecchio marinaio non è infatti gioiosa, come la sposa del preludio della ballata che va incontro alla camera nuziale. Anticipando in parte Una stagione all’inferno di Rimbaud, Coleridge mostra invece che essa è invece velata di amarezza. Resta comunque un’esperienza o passione di alto valore. Il vecchio marinaio non potrebbe cogliere le bellezza dell’universo se non passasse per la colpa dell’uccisione dell’albatros, come il febbricitante che comprende la dolcezza della salute solo dopo essere sopravvissuto alla malattia.

[L'immagine di copertina è I Watched the Water-Snakes, incisione di Gustave Doré (1876)]